Sviluppo sostenibile e contrasto delle pandemie

Agricoltura intensiva. Fonte foto Wikipedia

Proseguiamo nella riproposizione della traduzione dell’articolo pubblicato dalla rivista scientifica PNAS, nel quale si analizza la correlazione tra cambiamento climatico, modifiche ambientali ed eventi epidemici e si sottolinea la necessità di perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile nel rispetto degli ecosistemi, al fine di evitare l’insorgenza globale delle malattie infettive.

Ricercatori e governi potrebbero vagliare sinergie utili al raggiungimento dei molteplici obiettivi di sviluppo sostenibile considerando i principali elementi interconnessi alla base dell’insorgenza di una malattia ed il loro impatto sociale ad ampio spettro.

Per esempio, si prevede l’espansione dei terreni agricoli a seguito dell’incremento della domanda di produzione alimentare, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo in correlazione con un’alta biodiversità e il rischio EID (di insorgenza di malattie infettive). Le politiche ambientali che promuovono una pianificazione sostenibile dell’uso del suolo, una deforestazione contenuta e la protezione della biodiversità, apportano benefici aggiuntivi riducendo le tipologie di contatto con la fauna selvatica che possono portare all’insorgenza di una malattia. Politiche di questo tipo potrebbero promuovere la strategia di “risparmio del suolo” nella pianificazione produttiva, che tende a riconciliare le attività agricole e la conservazione della biodiversità ma riduce anche l’interazione tra esseri umani e bestiame e la fauna selvatica (e, di conseguenza, il rischio EID).

Analogamente, la protezione delle aree boschive può agevolare la conservazione della biodiversità e lo stoccaggio globale del carbonio, prevenendo allo stesso tempo il rischio di trasmissione di malattie tra gli esseri umani. Infatti gli ecosistemi intatti possono giocare un ruolo importante nel controllo delle malattie conservando le naturali dinamiche infettive nelle colonie di fauna selvatica e riducendo le probabilità di contatto e trasmissione di agenti patogeni tra gli esseri umani, bestiame e animali selvatici. Le politiche che mirano a ridurre l’incremento di consumo di proteine animali nei Paesi sviluppati ridurranno l’impatto globale dell’allevamento intensivo ed il rischio di amplificazione degli agenti patogeni insorgenti da parte del bestiame.

Evitare spaccature sociali, come quelle ingenerate dai conflitti armati, contribuisce agli sforzi per mitigare il rischio EID e per raggiungere altri obiettivi di sviluppo sostenibile. Un conflitto può significativamente deteriorare infrastrutture e stabilità di un Paese, come ben dimostrano i deficit nella capacità di assistenza sanitaria e la sfiducia nel governo – determinati da decadi di guerra civile – che hanno ostacolato il controllo dell’epidemia di ebola nell’Africa Occidentale. La presa di mira ed il danneggiamento a carico degli operatori sanitari e dei centri di cura e le criticità infrastrutturali (come le interruzioni nella fornitura di elettricità) hanno fortemente depotenziato l’efficacia delle misure collettive di contenimento dell’epidemia.

La riduzione dell’instabilità a livello locale ed internazionale è essenziale nella prevenzione delle epidemie, anche per quanto riguarda gli agenti infettivi sull’orlo dell’eradicamento. L’epidemia di poliovirus selvaggio dal Pakistan alla Siria nel 2013 e 2014, per esempio, è stata una conseguenza della riduzione dei livelli di vaccinazione dovuta ad anni di conflitto in entrambi i Paesi. Di contro, il mancato controllo delle epidemie può contribuire allo smantellamento delle funzioni sociali, conducendo ad un’esacerbazione della violenza, allo sfruttamento sessuale, all’interruzione delle attività educative, alla carenza di cibo e alla corruzione.

Vi sono inoltre delle interrelazioni da considerare. Per esempio, gli sforzi per espandere rapidamente la produzione di bestiame nei Paesi in via di sviluppo può incrementare l’assunzione di proteine e migliorare la nutrizione, ma si corre il rischio di aumentare le occasioni di contatto tra fauna selvatica-bestiame-esseri umani, che può tradursi in agenti patogeni e condurre a cali produttivi correlati alle malattie. La possibilità di concentrare l’allevamento su specie monogastriche (come suini e pollame) piuttosto che sui ruminanti è stata proposta quale strategia per ridurre la quantità di emissione di gas serra, ma ciò potrebbe incrementare l’insorgenza di pandemie di influenza.

Anche misure conservative che creino corridoi dedicati alla fauna selvatica per aumentare la connettività dell’habitat potrebbe accrescere il rischio di trasmissione di malattie tra animali selvatici, bestiame e popolazioni umane. Il ripristino degli habitat naturali degradati aiuta a ristabilire la naturale composizione e le dinamiche delle comunità di fauna selvatica, con benefici molteplici sotto il profilo del sequestro del carbonio, la conservazione delle risorse idriche e la gestione della siccità. Tuttavia il rimboschimento negli USA nord orientali, sulla scia di un ciclo di deforestazione e estirpazione di predatori, ha probabilmente contribuito ad un aumento del rischio della malattia di Lyme tra la popolazione.

Alessandra Schofield

Iscritta all’Ordine dei Giornalisti del Lazio, da oltre vent'anni sono vicina alle realtà associative di primo e di secondo livello degli Agenti d’assicurazione, prestando consulenza professionale nell’ambito della comunicazione. All’attivo ho anche un’esperienza nel mondo consumeristico. Attualmente collaboro con AUA Agenti UnipolSai Associati, dedicandomi a questo grande e coinvolgente progetto con passione ed entusiasmo.