
Gli autori di uno studio pubblicato sulla rivista medica canadese Canadian Medical Association Journal (CMAJ) hanno cercato di approfondire quali fattori effettivamente riducano la trasmissione della sindrome da Coronavirus 2 (SARS-CoV-2).
È stato quindi effettuato uno studio di coorte prospettico al 20 marzo 2020 (le coorti sono gruppi di individui selezionati sulla base di determinate caratteristiche condivise) a livello mondiale su tutte le 144 aree geopolitiche (375.609 casi complessivi) con almeno 10 casi di COVID-19 e evidenza di trasmissione del contagio a livello locale, escludendo Cina (perché al momento dell’indagine la curva di crescita aveva già decelerato e l’epidemia era stata contenuta), Sud Corea, Iran e Italia (perché in questi Paesi si era già raggiunto il picco ed era prevedibile l’inizio della discesa del contagio).
L’analisi compara il numero dei casi con latitudine, temperatura, umidità, chiusura delle scuole, restrizione degli assembramenti e misure di distanziamento sociale durante il periodo di esposizione nei 14 giorni precedenti.
Contrariamente a quanto spesso abbiamo sentito affermare in questi giorni, è risultata praticamente nulla la correlazione tra la crescita epidemica e i parametri di latitudine e temperatura e scarsa quella con il tasso di umidità assoluta o relativa, mentre hanno molto inciso sulla riduzione dell’epidemia tutte le misure di contenimento assunte a tutela della salute pubblica.
Ora, l’eventuale conferma dell’ipotesi (e il condizionale è più che d’obbligo) che la stagionalità giochi in effetti un ruolo minore rispetto alla diffusione del virus imporrebbe di prestare la massima attenzione e la massima prudenza anche nei mesi più caldi, senza confidare eccessivamente nella mitezza del clima quale fattore di indebolimento del virus, al fine di evitare una recrudescenza dell’epidemia.