Come AUA sostiene fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, durante la pandemia si è registrata una netta accelerazione nell’utilizzo delle tecnologie digitali.
“Le tre aree di digitalizzazione più influenzate dalla pandemia sono state quelle del lavoro da remoto (o agile), del commercio elettronico e della digitalizzazione dei processi aziendali, inclusa l’automazione” riferisce l’ISTAT.
Riprendiamo integralmente il commento dell’Istituto, ritenendolo particolarmente interessante
“Nel gennaio 2020, in media, lavorava da remoto circa il 3,7% del personale delle imprese con almeno tre addetti; tale incidenza è salita al 19,8% nel bimestre marzo-aprile 2020 per giungere, a fine 2021, a un livello di diffusione medio più che doppio. In particolare sono state le grandi imprese (almeno 250 addetti) del Nord-ovest a utilizzare più intensivamente questa modalità nel settore privato. Tra le imprese che nel periodo giugno-ottobre 2021 hanno mantenuto una quota di personale in lavoro da remoto, i giudizi negativi superano quelli positivi per l’efficienza e la collaborazione interna, mentre i saldi dei giudizi sono moderatamente positivi per la produttività e più favorevoli sui costi operativi e sul benessere del personale. Inoltre, l’esperienza del lavoro da remoto sembra aver rappresentato uno stimolo importante per altri cambiamenti, quali gli investimenti in tecnologie e formazione. Anche in questo caso, la capacità di coglierne le opportunità è stata più diffusa tra le imprese più grandi. Durante la crisi è accelerata l’adozione delle tecnologie per la gestione dei flussi informativi d’azienda e l’automazione dei processi (“tecnologie 4.0”). Ne deriva una possibile convergenza tra settori nei quali le imprese avevano già investito significativamente in tecnologie 4.0 nel periodo pre-Covid e settori nei quali sono stati realizzati investimenti digitali rilevanti a seguito della crisi, con una diffusione sostanziale anche tra le imprese di minore dimensione. Gli indicatori qualitativi segnalano un ampliamento significativo del segmento di imprese che attribuiscono valore strategico agli investimenti immateriali in capitale umano e ricerca e sviluppo, all’internazionalizzazione, alla sostenibilità ambientale. Le intenzioni di investimento in questi ambiti per il primo semestre 2022 sono superiori non solo a quanto registrato nelle due precedenti rilevazioni, ma anche al livello del triennio 2016-2018. La capacità delle imprese di adattarsi ai cambiamenti intercorsi è in larga misura spiegata da elementi di dinamismo pre-esistenti l’emergenza sanitaria, coadiuvati da aspetti di struttura quali la dotazione di capitale umano, la dimensione d’impresa e il settore d’attività. Distinguendo le imprese in base alla capacità di attuare strategie di reazione alla crisi (imprese “proattive”), a parità di altre caratteristiche le unità appartenenti ai gruppi mediamente o molto proattivi presentano una probabilità relativamente più elevata di arrivare all’uscita della crisi solide e dotate di una capacità produttiva superiore al 2019”