Tutti sanno tutto? La Gen Z, a sorpresa, fa marcia indietro

Gennaio 24, 2023by Alessandra Schofield

Quando i genitori della “Generazione Z” erano bambini, l’informazione più personale che si potesse trovare su qualcuno era il numero telefonico di casa. Ora, le vostre impronte digitali, il volto o la voce sono probabilmente usati in procedure di log in che impiegano meno di due secondi per verificare la vostra identità. 

Così si apre un interessante articolo di McKinsey, che prova a fare una previsione al 2030, quando cioè i più giovani appartenenti alla Generazione Z (cioè i nati fra il 1996 e il 2015) staranno per terminare le scuole primarie.

L’estrema personalizzazione di qualsiasi aspetto della vita in cui ogni cosa è tailor made (dall’alimentazione all’intrattenimento) ha un costo: la cessione di tutti i nostri dati personali. La Gen Z, sottolinea McKinsey, valorizza peraltro in modo particolare la trasparenza dei dati.

La tecnologia legata all’identificazione, che già oggi in molti campi viene adottata, sarà centrale nella vita degli adulti. Tuttavia, gli utenti Z sonoconsapevoli che vivere in un mondo in cui la privacy è assente di default può avere un impatto.

E qualcosa sta accadendo. Una sorta di inversione di tendenza, nella quale alcuni Gen Zer si affezionano a “sottoculture” online che fantasticano sull’anonimato, incoraggiando tendenze come quella che McKinsey chiama “estetica pastorale cottagecore“, ispirata da minuscole capanne e verdure coltivate in casa.

Ma c’è di più: un gruppo di adolescenti ha fondato una community che rigetta i dispositivi intelligenti in favore dei “vecchi” cellulari a conchiglia. Si autodefiniscono Luddisti, richiamandosi a quel movimento inglese di protesta operaia di inizio 19° secolo, caratterizzato dal sabotaggio della produzione industriale.

In generale, molti giovani stanno apprezzando sempre meno la logica social del “tutti sanno tutto”, preferendo creare gruppi chiusi di amici e valutando con molta attenzione cosa mettere online e cosa no.

L’anonimato è ai minimi storici anche sul posto di lavoro, cosa che la Generazione Z – ma non solo loro – sta iniziando a respingere. Rigettando una cultura dell’occupazione secondo cui ci si aspetta che si sia disponibili a rispondere alle email in qualsiasi orario, molti lavoratori stanno insistendo per ottenere la definizione di accordi che regolino il lavoro ibrido. Pur desiderando ardentemente la connessione, le persone vogliono potersi gestire liberamente qualche giorno alla settimana.

Non tutti i Gen Z vogliono essere autonomi, naturalmente. L’aspirazione a diventare influencer – osserva McKinsey – è forte come sempre. Ma molte persone stanno valutando quanto di se stessi vogliono davvero sia divulgato, realizzando che la risposta è probabilmente “più di quanto sarebbe opportuno”.

Foto di Sam Williams da Pixabay

Alessandra Schofield

Iscritta all’Ordine dei Giornalisti del Lazio, da oltre vent'anni sono vicina alle realtà associative di primo e di secondo livello degli Agenti d’assicurazione, prestando consulenza professionale nell’ambito della comunicazione. All’attivo ho anche un’esperienza nel mondo consumeristico. Attualmente collaboro con AUA Agenti UnipolSai Associati, dedicandomi a questo grande e coinvolgente progetto con passione ed entusiasmo.