Morti per incidenti stradali Come se cadesse un aereo ogni due giorni. Il Direttore dell’European Transport Safety Council Antonio Avenoso, il Direttore della Flemish Foundation for Traffic Knowledge Eddy Klynen, la Vice Sindaca di Bilbao e Consigliera Delegata per l’Area Mobilità e Sostenibilità Nora Abete Garçia e Laurence Willemse del Ministero della mobilità, lavori pubblici e sicurezza stradale di Bruxelles si sono confrontati in una tavola rotonda dedicata allo stato della sicurezza stradale nelle città europee, organizzata nell’ambito del convegno Unipolis sulla mobilità City Flows.
Antonio Avenoso ha sottolineato come purtroppo i dati sulla sicurezza stradale nelle città europee, soprattutto nell’ambiente urbano, non siano incoraggianti.
L’European Transport Safety Council, il Consiglio Europeo per la sicurezza dei trasporti, è un’organizzazione non governativa con sede a Bruxelles, creata circa trent’anni fa con l’obiettivo di fornire indicazioni a tutte le sedi governative – a livello europeo, nazionale e talvolta locale – sulle migliori pratiche di sicurezza stradale. Quindi collabora con la Commissione europea, col Consiglio e col Parlamento europeo, con gli Stati membri e con le singole istituzioni locali, per migliorare tutte le politiche di sicurezza. Sono 58 le Associazioni aderenti a livello europeo, di cui 5 in Italia e tra queste la Fondazione Unipolis con cui l’evento City Flows è stato organizzato. Anche il Centro Studi Città Amica dell’Università di Brescia, l’UNASCA, l’ACI e la Fondazione ANIA ne sono membri.
Sebbene il tema della sicurezza stradale in Europa venga spesso trasferito nell’Unione Europea come una storia di successo, allo stesso tempo i dati mostrano un quadro diverso: durante l’ultimo anno, nella UE, 20.678 persone sono uscite di casa e non vi sono mai rientrate a causa di un incidente stradale. “Io rifiuto di aderire a questa idea della storia di successo – ha dunque affermato Avenoso – Secondo me, secondo noi, c’è ancora tanto, troppo da fare prima che si possa veramente parlare della sicurezza stradale in Europa come di una storia di successo”.
20.000 morti, ha proseguito Antonio Avenoso, significa circa 50 morti al giorno nell’Unione Europea: come se ogni due giorni cadesse un aereo senza alcun sopravvissuto “Io sono sicuro che noi, come esperti del settore, le istituzioni pubbliche e l’opinione pubblica forse reagirebbero in maniera diversa se davvero ci fosse un incidente aereo senza sopravvissuti ogni due giorni”.
Nell’ultimo anno la riduzione del numero di decessi è stata solo del 9%, e si tratta di una percentuale molto bassa, considerando che l’Unione Europea ha ancora una volta fissato l’obiettivo di ridurre del 50% entro il 2030 il numero dei morti e dei feriti gravi sulle strade. Per raggiungere questo obiettivo, per il periodo 2019-2022 nell’UE si sarebbe dovuta ottenere almeno una riduzione del 17%.
Non solo- ha proseguito Avenoso – se si osserva più a lungo termine l’obiettivo numerico di riduzione della decade precedente, si vede come a causa del coronavirus, con il correlato lockdown, le limitazioni al movimento abbiano senz’altro contribuito alla riduzione della mobilità sulla strada. Quindi una parte di quel 9% è anche dovuta non tanto al miglioramento della sicurezza stradale nell’Unione Europea, quanto al fatto che il numero di chilometri percorsi sulle strade in quegli anni è stato sicuramente minore. E infatti, immediatamente dopo il periodo della pandemia si è evidenziata di nuovo una ripresa nella mortalità a livello europeo. A conti fatti, non esiste ancora un’Unione Europea della sicurezza stradale, perché non si è sicuri allo stesso modo in ogni Paese.
Nell’ultimo decennio, l’Unione Europea dei Ventisette ha raggiunto una riduzione del 22% quando l’obiettivo era del 50%. Alcuni Paesi hanno fatto grandi progressi, come la Lituania che è andata ben oltre l’obiettivo con un 60%, e la Polonia che ha quasi raggiunto l’obiettivo con il 47%. Anche l’Estonia, la Lettonia, la Grecia hanno avuto miglioramenti importanti, dovuti anche al fatto che la loro situazione di partenza era chiaramente diversa, trovandosi più indietro rispetto ad altri.
Per quanto riguarda il rapporto tra numero di morti per milione di abitanti, in Europa Norvegia e Svezia rimangono al top della sicurezza stradale, con un tasso di mortalità rispettivamente di 21/1.000.000 e 22/1.000.000. Ma si arriva addirittura a 86/1.000.000 in Romania, a riconferma della presenza di forti disparità.
Quindi vedete quelle disparità di cui parlavo prima? Ovviamente sono tassi ancora molto alti. È inutile negare che non ci siano stati dei miglioramenti. Ecco perché qualcuno parla di questa famosa storia di successo. Miglioramenti tra negli ultimi negli ultimi vent’anni.
Vent’anni fa, quando si è cominciato ad occuparsi di sicurezza stradale nell’Unione Europea, il numero di morti superava i 50.000 l’anno. Gli attuali oltre 20.000, seppur indicando un miglioramento ed un buon lavoro svolto dai Governi degli Stati membri, dalle Forze dell’Ordine e da tutti coloro che operano in questo ambito, sono ben lontani dall’obiettivo zero.
Il numero dei morti, però, risulta essere solo la punta dell’iceberg, se si osservano I dati sui feriti gravi a seguito di incidenti stradali. Perciò è particolarmente importante che l’Unione Europea abbia fissato non soltanto l’obiettivo di ridurre della metà il numero dei morti sulle strade entro la fine del decennio, ma anche quello dei feriti gravi.
Nel 2019, quando ancora non c’era stato il boom degli scooter elettrici e dei monopattini, si sono verificati 9.500 decessi sulle strade urbane europee, di cui il 70% è stato costituito da “utenti vulnerabili” come pedoni, ciclisti e motociclisti. Il 38% delle morti sulle strade avviene in ambiente urbano. Nelle città europee la mortalità nel periodo 2010-2017 è stata ridotta in media nell’Unione Europea soltanto del 14%. Meglio la situazione delle strade statali interurbane, con il 16%, e quella delle infrastrutture come le autostrade, con il 24%.
Un altro dato che deve far riflettere riguarda i controlli. Dai dati risulta che quando c’è la possibilità di guidare in ambiente urbano senza controlli e senza traffico, nei vari Paesi europei tra il 35% e il 75% degli automobilisti supera i limiti di velocità. Proprio la velocità rimane una delle cause principali degli incidenti e delle morti su strada, e purtroppo c’è ancora troppa accettazione degli eccessi di velocità. Invece, per fortuna, ormai quasi tutti hanno capito che non si può e non si deve guidare in stato di ebbrezza.
Nelle scelte di mobilità e di urbanistica è fondamentale dare sempre priorità agli utenti vulnerabili, in quest’ordine: pedoni, ciclisti, trasporto pubblico, due ruote, auto ed infine mezzi pesanti. Gli utenti vulnerabili debbono potersi riappropriare dell’ambiente urbano – ha sottolineato Avenoso, che ha concluso con una raccomandazione.
Al momento il limite di velocità in ambiente urbano è di default di 50 km orari ma a questa andatura, in caso di impatto tra un’automobile e un pedone, quest’ultimo nel 90% dei casi perde la vita. Se questo impatto avvenisse invece a 30 km orari, il 90% dei pedoni riuscirebbe a sopravvivere alla collisione. Quindi ci renderà conto che la richiesta di passare in ambiente urbano da 50 a 30 km orari non è un capriccio, ma è una necessità e l’unico modo per proteggere gli utenti vulnerabili. Non solo, a Bruxelles – dove all’inizio questa riduzione ha suscitato forti critiche – i primi studi stanno dimostrando che non solo si è ridotto il numero di incidenti, ma anche le emissioni.
La vita delle persone non è cambiata. Si continua ad arrivare al lavoro in orario, e i tempi di percorrenza csono sostanzialmente immutati; però la città è molto più vivibile – ha concluso Avenoso.
